Da Lanzarote ci si sposta ancora a sud-ovest, verso Tenerife, isola in cui imbarco l’equipaggio delle tratta lunga della traversata atlantica di andata, il grande salto verso ovest fino ai Caraibi. La sosta a Tenerife è lunga, e l’equipaggio è il benvenuto anche giorni prima della partenza: anche se il tempo è sempre scarso e molti tendono a imbarcarsi il giorno prima della partenza, io ritengo che per vivere appieno un’esperienza come la traversata atlantica sarebbe opportuno prendersi qualche giorno in più. Prendere confidenza con la barca, con le manovre, con il comandante e con i compagni è importantissimo. Ed è anche molto bello vivere il clima pre-partenza, ricchissimo di emozioni, di incontri, di stati d’animo. Arrivando qualche giorno prima l’equipaggio ha anche modo di aiutarmi nelle ultime operazioni di sistemazione della barca: andare in testa d’albero a controllare il sartiame, predisporre materiale di rispetto, sistemare le drizze, le manovre, etc. L’ultima di queste operazioni è la preparazione della cambusa per la traversata atlantica, il momento in cui l’equipaggio comincia a collaborare e a formarsi.
Poi cominciano le ultime telefonate, di colpo sale la consapevolezza che per un paio di settimane abbondanti tutto dovrà andare avanti senza di noi: chi è a bordo dovrà solo preoccuparsi di far camminare la barca, di fare i propri turni, di riposarsi – la vita torna a un’essenzialità che di rado si ha modo di vivere a terra. Sono fortissime le emozioni dei momenti in cui si mollano gli ormeggi per la traversata atlantica, spesso accompagnati dai saluti e dagli applausi di altri naviganti che sono in banchina, perfetti sconosciuti con cui però si condivide qualcosa di così grande da sembrare vecchi amici…
E siamo in oceano. Per i primi giorni si naviga ancora a latitudini che possono riservare qualsiasi condizione meteo: vento da nord-ovest, da sud, pioggia, clima ancora fresco. Si comincia ad abituarsi all’onda dell’oceano, che solo dopo qualche giorno riusciremo a chiamare gentile, si comincia a prendere il ritmo dei turni, a sentire la barca e imparare a timonarla senza fatica. Si comincia anche a prendere confidenza con la navigazione oceanica, molto diversa da quella mediterranea: poche manovre, vele come lo spi e il gennaker a cui generalmente si è meno abituati e velocità sì, perché bisogna arrivare, ma senza strafare e mettendo sempre prima la sicurezza. Si impara a riconoscere le nuvole che portano vento, a scrutare il cielo per vedere i groppi per tempo.
Il contatto stretto con la natura e con i compagni di viaggio è l’altro aspetto della traversata atlantica, oltre alla navigazione, con cui è necessario prendere un po’ di confidenza. Vedere per giorni e giorni solo mare, solo cielo, è un grande spazio di libertà interiore che si può riempire di quello che la nostra mente decide: può essere felicità, serenità, ma anche nostalgia, paura. Qualunque cosa verrà a galla dovrete affrontarla, perché sarete in mezzo al mare con una manciata di sconosciuti: non c’è scampo. Continuo a credere che sia l’aspetto più bello e più importante di una traversata.
A bordo c’è sempre da fare: a parte i turni, c’è da imparare ad usare la radio, scaricare le carte meteo e interpretarle, programmare la rotta e segnare accuratamente i punti nave. C’è da pescare, da farsi una doccia con acqua di mare ben legati a poppa, da fare il pane. E dopo un paio di settimane comincia il toto-arrivo con tanto di banco scommesse. Non si vede l’ora di vedere terra: le palme, le spiagge, i profumi dei Caraibi. Ma allo stesso tempo si vorrebbe che non finisse mai questa meravigliosa navigazione… L’atterraggio è un momento molto emozionante, forse indescrivibile: l’adrenalina continua a scorrere per ore dopo l’arrivo, riabituarsi alla terra richiede un po’ di tempo, si sente di essere cambiati. Si è compiuto qualcosa di grande.