Frangenti
Frangente /fran’dʒɛnte/ s. m. [part. pres. di frangere].
1. (geogr.) [onda di notevoli proporzioni diretta dal mare alla spiaggia e che su quella si rovescia] ≈ Ⓖ cavallone, flutto, Ⓖ ondata.
2. (fig.) [evenienza particolare, per lo più grave, difficile e sim.: trovarsi in un brutto f.] ≈ circostanza, contingenza, (lett.) discrimine, momento, situazione.
Nando sembrava un vichingo.
Alto, biondo, con le sopracciglia sempre un po’ aggrottate sopra gli occhi azzurri, come se volesse difendersi da chi poteva guardarci dentro e scoprire che era, in realtà, un gigante buono.
Il primo frangente rischiò di farlo cadere in mare, nel mezzo dell’oceano Atlantico del nord, a mille miglia da tutto. “Ah Ome’, che te possino…” disse mentre a fatica due uomini lo tiravano a bordo, ancora aggrappato al fiocco che aveva ammainato. C’era burrasca, in Atlantico, a bordo c’era da fare per portare quella piccola barca a vela a casa, e Omero non risparmiava l’equipaggio.
A Nando però era piaciuto l’oceano, nonostante il frangente, e infatti qualche anno dopo prese la sua barca a vela, ancora più piccola, e di nuovo andò in Atlantico, e di nuovo tornò.
È un viaggio faticoso il ritorno, e forse quello che più vale la pena di essere affrontato: solo tornando si conosce fino in fondo la nostalgia che come una sirena si è lasciata intravedere per tutto il tempo della lontananza.
Quell’anno si persero due barche nella burrasca di primavera che spazzò il mare tra l’America e l’Europa, e Nando capì quanto può essere faticoso tornare. La prua sbatteva faticosamente sul mare, ogni onda era un tonfo sordo che faceva tremare lo scafo. Il secondo frangente lo colse vicino alle Azzorre, e fu più violento. Spezzò la cappottina, strappò il motore fuoribordo, stracciò le vele e gli fece vedere la paura, quella vera. Paura che per i marinai è un’emozione irreale.
La paura per i marinai esiste prima, mentre il cervello e il cuore preparano la barca e il fisico alla burrasca che sta arrivando, ed esiste dopo, quando la burrasca è passata, ma è ormai solo un sogno. Durante, mentre la burrasca picchia, un marinaio non può sentire la paura, perché non può fare ciò che la paura lo spingerebbe a fare: scappare.
Nando si mise alla cappa, bagnato e stanco, la lunga barba bionda zuppa di sale. La mente si perdeva in visioni e ricordi senza senso, aspettando che la burrasca passasse. Quasi gli veniva da ridere, a ripensare a quella volta che era mezzo finito in mare aggrappato al fiocco dell’Hélène. Quasi gli veniva da piangere, a ripensare a quando aveva cominciato a navigare con Damien, l’amico zen, che fa anche rima.
Il tempo dei pensieri durò poco, come la burrasca, e come la burrasca finì lasciando un segno che nessun altro può riconoscere. Il vizio di chiudere per un istante gli occhi quando il ricordo torna alla mente, il vizio di sorridere quando non ce n’è motivo, o di arricciare le labbra quando si vede un tramonto, pensando alle notti là in mare, lunghe e molto buie. Ma i marinai per lo più dimenticano. Vivono quasi un eterno presente, sempre affaticati dalla vita, piena di zanzare, e dal mare, che non si sa più se lo amano o se lo odiano. Semplicemente lo vivono.
Il mare si fece di nuovo dolce e portò Nando alle Azzorre, Isola di Fajal. Dolce porto verde smeraldo in mezzo al blu dell’oceano. Dolce banchina colorata dove appoggiarsi e riposare. Dolce isola di duri marinai, bretoni e inglesi, oppure senza terra, finiti qui perché davvero in pochi ci vengono, e quei pochi sono strani come te, con la cerata e le ciabatte.
Qui, lontani da occhi indiscreti, succedono ancora cose che i più pensano siano solo storie inventate, finite con un’epoca passata. Qui non solo si conoscono tutti fra loro, ma conoscono anche quelli che arriveranno: dev’essere il vento che porta i nomi loro e delle loro barche, mentre ancora combattono con l’oceano. Qui non c’è bisogno di appuntamenti ne’ di telefoni: la nave o il piccolo aereo che vola a bassa quota sfiorando il vulcano si vedono arrivare da lontano – c’è tutto il tempo per andargli incontro.
E qui Nando è stato colto dal frangente più impetuoso e travolgente che gli oceani abbiano mai visto.
Omero era già da Peter, ad aspettarlo. Seduto al tavolino con gli occhiali sul naso leggeva le carte meteo dei prossimi giorni, Nando entrando vide le labbra un po’ arricciate e capì: Nord Est, niente di buono. Ma fece finta di niente, come si fa tra comandanti. Sul muro dietro a Omero, un po’ sbiadita, la foto di un altro frangente, il più famoso di Horta: alto più di 70 metri, superò in altezza la scogliera e prese la forma, dicono, del volto di Nettuno.
“Oh Nando” non disse altro Omero, quando lo vide. Un breve socchiudersi degli occhi gli fece capire che la burrasca aveva lasciato il segno. Ma fece finta di niente, come si fa tra comandanti.
Gli allungò una busta che Peter gli aveva dato dicendo “È per un italiano che sta per arrivare con una barca di 12 metri”. Era una busta grande. Nando la guardò, la soppesò, e arricciò le labbra. Con la busta appoggiata sul tavolo in mezzo a loro, i due comandanti compirono quello che è quasi un rito, da Peter: un gin tonic, il racconto dettagliato delle rotture subite in traversata, di tutti i lavori già immaginati per impedire che succedano di nuovo, la voglia di tornare a casa, sapendo che a casa ci staranno bene solo per un giorno o due.
Omero guardò la busta “Non la apri?”. “No”, Nando se la mise sotto braccio e uscì.
Quando puoi scegliere, fai almeno passare un po’ di tempo tra una burrasca e l’altra, tra un frangente e l’altro. Il tempo di asciugarsi, raddrizzarsi, mangiare e dormire un po’, aggiustare i danni più gravi e Nando si presentò in banchina davanti all’Hélène, bianco come un cencio.
“Ah Ome’, dice che è mi’ fijo…” disse mostrando la foto di un bel bambino biondo, gli occhi azzurri e grandi. Era identico a lui. Insieme alla foto, nella busta arrivata via nave per un italiano da Peter, isola di Faial, c’era una lettera. Non chiedeva nulla, voleva solo che Nando sapesse che aveva un motivo in più per tornare, se lo voleva.
Omero sorrise ripensando a quella donna che girava per le banchine di Palau, qualche anno prima. Un’altra isola, un’altra storia. Qui arrivano infiniti aerei e numerose navi, barche di ogni tipo e misura, migliaia di turisti con gli occhiali da sole e ancora un piccolo gruppo di avventurieri, con le antenne delle radio lungo il paterazzo a distinguerli, come le penne dei copricapi dei pellerossa.
Lei cercava una di quelle penne, e trovò quella dell’Hélène. Voleva andare a vela veramente, le avevano detto che era bellissimo. Omero sorrise “Io non ho posto, ma c’è un amico, Nando, che ha posto di sicuro ed è bravo. Chiamalo, vai da lui”.
Così era stato concepito il piccolo, in mezzo al mare, nel sospiro del frangente.
“Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti di no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.”
Eugenio Montale
ps: Quella di Nando è una storia vera, una di quelle storie bellissime che nasconde il mare. Ho scritto solo pochi altri post con lo spirito con cui ho scritto questo: uno si chiama Nave spaziale Atlantico, uno è dedicato ai secondi in comando, come me. Gli altri li trovate qui: Donna a bordo.
Complimenti Sara, commovente.
Che storia bellissima, Sara!!!
Grazie Monica! Non ho dovuto inventare niente :)
Sei fantastica!!!! Letto con Brunori Sas (Per due che come noi) nelle orecchie …… ma che te lo dico a fare :)
Grazie Silvia :)