Mal di terra

Il mal di terra, così come il mal di mare, è un misto di mali fisici e metafisici. Difficile che il marinaio soffra del mal di terra “classico”, il mal de débarquement, come lo chiamano i francesi – quella sensazione di ondeggiare anche quando si cammina sulla terraferma, di pareti della doccia che si muovono e di un costante rollio. Il mal di terra di cui soffriamo di più è l’impatto con le conseguenze dell’affollamento che a terra, dopo tanti mesi di mare, può essere brutale. Sono le cose banali a travolgerci: rumori, odori, smog, velocità, transenne, corsie, vestiti, scarpe – e non c’è modo di difendersi da quella che è, a tutti gli effetti, un’aggressione.

Abituati al silenzio delle rade, i rumori della terra sono assordanti: clacson, camion, moto, gru, allarmi – notte e giorno, attenuati solo dalle televisioni o dalle cuffie nelle orecchie – rumori ancora più forti, ancora più vicini, ancora più invadenti. Gli odori sono asfissianti: scarichi, cassonetti, polveri – la città ha un odore forte, che chi viene dall’aria aperta percepisce subito e per giorni, soprattutto se è ancora caldo. Le vie respiratorie, abituate al vento e allo iodio, si bloccano e per almeno un paio di settimane andiamo avanti intasati dallo smog e dalle polveri. È un male fisico, ma si può dire che in realtà, metafisicamente, ci manchi l’aria.

Tornare a guidare l’auto, poi, è cosa folle. Dopo mesi a 7 nodi spinti dal vento e cullati dal mare, infilarsi in una scatola di metallo che fa 60 nodi a pochi centimetri da tir, pullman e altre macchine che sfrecciano a 60 nodi (quando va bene) può provocare vero e proprio panico. E io ripenso sempre a chi mi dice che ha paura della barca a vela e magari si fa la tangenziale tutti i giorni…

I percorsi sono tutti obbligati, a terra: marciapiedi sempre troppo stretti per la quantità di persone, corsie sempre troppo affollate di macchine, transenne a chiudere i passaggi. E così tutti finiscono per percorrere la stessa strada, con le cuffie nelle orecchie o la radio accesa per non sentire i rumori e respirando lo smog delle macchine che sfrecciano poco più in là…

Il tutto con la costrizione – anche questa probabilmente sconosciuta a chi non fa una vita come la nostra – dei vestiti e delle scarpe…  “Mi sembra di soffocare”, dice Omero ogni volta che si mette una camicia, e io non sono più in grado di portare scarpe che non siano da ginnastica.

L’ironia della cosa è che per mesi l’abbiamo sognato di tornare un po’ a terra, idealizzando le comodità del vivere in una casa “vera” – vasca da bagno, divano e telecomando, acqua e corrente elettrica a volontà – per poi ricordarci solo dopo poche ore che vivere a terra semplicemente non ci piace, senza troppi giri di parole e senza fare troppe storie. Poi la straordinaria capacità di adattarsi a qualunque cosa che caratterizza l’essere umano prende il sopravvento anche su di noi: gli odori non li sentiamo più, allo smog ci abituiamo, i rumori diventano normali, guidiamo anche noi come pazzi e percorriamo i marciapiedi a memoria.

Ma ci basta tornare dalla Freya in cantiere e vedere il mare, che ecco che il mal di terra torna, prepotente: ed è solo la nostalgia del silenzio e della lentezza, dell’odore di mirto dell’Arcipelago, del rumore dell’acqua che scorre lungo le murate e del Maestrale che fa cantare le sartie, di una carta aperta su rotte ancora da decidere, della libertà che c’è nel non sapere mai dove saremo la sera (a parte il martedì a Bonifacio :) ), aspettando che siano il  vento e il mare a dircelo. E poi quando l’oceano ci farà sentire la sua onda maestosa, soffriremo un po’ di mal di mare, incastrati laggiù in cucina a preparare qualcosa di caldo da mangiare. E dopo tanto navigare saremo felicissimi di vedere terra, e brinderemo e festeggeremo, perché la terra, vista dal mare, è bellissima.

mal di terra vista dal mare

1 commento
  1. Anna
    Anna dice:

    Parole sante! Anche se di fatto questa straordinaria capacità dell’essere umano di adattarsi all’ambiente in cui vive non ce l’ho! Da sempre vivo in città, da sempre vivo nel rumore del traffico giorno e notte, da sempre respiro smog e da sempre le mie orecchie sentono un gran vociare di parole inutili. Ritmi di vita dettati dal lavoro, in continuo stress e sempre in urgenza. Tanto facilmente mi integro nella vita di mare, quanto difficilmente mi adatto alla vita cittadina. E dovendo purtroppo passare le mie ore lavorative davanti ad un monitor, ho messo la meravigliosa Razzoli al tramonto sul desktop, così che occhio vede, cuore brilla :-)
    Un grande abbraccio.
    Anna

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