Qualche domanda sulla preparazione per la traversata atlantica
Anche senza guardare il calendario, Orione che si alza nel cielo del Mediterraneo di notte è un segno che non si può ignorare: si avvicina di nuovo la stagione dell’oceano, e in tanti mi scrivono per avere consigli sulla preparazione per la traversata atlantica, con la propria barca o la barca di altri.
Vele e armi, timoni a vento, piloti automatici, dissalatori, porti – ovviamente le domande sono tante, ma una mi ha colpito più di altre. Mi chiedeva cosa fare per “prepararsi fisicamente e mentalmente alla traversata”: una cosa a cui io, ammetto, non avevo mai pensato. Per me la banchina va lasciata, per definizione, e la preparazione mentale ad una lunga navigazione è una cosa a cui non ho potuto mai dedicare tempo, anche se mi rendo conto che è forse l’aspetto più importante per chi non è abituato a navigare. La preparazione fisica, invece, non l’ho proprio mai presa in considerazione. Ma forse io, come dice Sara, sono un po’ un orso.
Mi ha colpito anche perché è una domanda semplice ma importante, posta in maniera diretta e spontanea in un tempo in cui pochi hanno il “coraggio” di ammettere di non sapere fare qualcosa e in troppi si dichiarano grandi esperti. Così, trascrivo qui, con qualche aggiunta, la risposta che ho dato a chi mi ha chiesto cosa fare per prepararsi fisicamente e mentalmente ad una traversata atlantica in barca a vela.
“Ciao Pietro, bravo per la costanza e la disciplina, sono sempre la base migliore per partire.
Non ho dei consigli “standard” da dare: ogni traversata è vissuta in modo diverso da ogni persona. Diciamo che la preparazione per la traversata atlantica, in senso fisico come mi chiedi tu, implica prima di tutto testare la resistenza al mal di mare e a qualche giorno di scarse ore di sonno – non perché ci sia davvero bisogno di non dormire se si ha un equipaggio sufficientemente numeroso, ma più che altro perché si fa fatica ad abituarsi a dormire con il rollio e i rumori della barca.
La preparazione per la traversata atlantica più utile è a mio avviso navigare, navigare, navigare. Imbarcarsi quindi per una navigazione in altura lunga almeno qualche giorno, che preveda delle notturne: può essere una navigazione in Mediterraneo, o una tratta di oceano più breve, dalla Spagna alle Canarie o dalle Azzorre a Malaga. Proprio per testare la resistenza al mare, a qualche turno più lungo e alla lontananza dalla terraferma la cosa migliore è infatti navigare, con la prospettiva di sbarcare comunque dopo qualche giorno, prima di affrontare 18/20 giorni di oceano. In mare, lo dico e lo scrivo sempre, l’esperienza è la cosa che conta di più.
Se mi parli di preparazione per la traversata atlantica di ritorno, poi, assicurati che ti piaccia la bolina, perché se ne fanno mediamente diversi giorni – giorni interi, da 24 ore. La bolina in oceano è ben più impegnativa di quella a cui siamo abituati in Mediterraneo, e tutto diventa un’impresa per chi non è abituato: bisogna mangiare, dormire, muoversi sottocoperta, andare in bagno mentre la barca è sbandata di 15-20 gradi e risale onde di 2-3 metri almeno.
Se poi sei una persona che ha particolari esigenze alimentari ti direi di prepararti a mangiare, se puoi, cose standard, perché non è che in traversata si possano fare menù alla carta (almeno su un barca “normale”). Anche da questo punto di vista spesso si tratta di una preparazione mentale più che fisica: bisogna essere consapevoli che si stanno per lasciare le proprie abitudini, che si sta per intraprendere un’esperienza che ci fa confrontare con la natura e con i nostri limiti, bisogna lasciare a terra tutto quello che non serve – prima di tutto le varie fisse sul cibo.
Da un punto di vista fisico non serve molto di più: mi capita di avere a bordo persone molto allenate fisicamente, ma una lunga traversata su una barca di 12/15 metri più o meno moderna (con winch, magari anche elettrici, e un livello minimo di comfort) richiede una capacità fisica che poco ha a che fare con quella di una palestra o di uno sport intenso. È più importante la resistenza sul lungo termine, e soprattutto si parla di resistenza mentale, perché la traversata in sé, salvo rare eccezioni, non richiede manovre continue o attività frenetica – richiede però di convivere con degli sconosciuti, a migliaia di miglia dalla terra più vicina, per giorni, contando solo uno sull’altro, obbedendo agli ordini di un comandante, senza eccezioni. Non c’è distrazione, non c’è scusante, non si può scendere. E ancora una volta, a questo non c’è preparazione se non la navigazione stessa.”
– Omero
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