Jeanneau Sun Odyssey 51 – Un progetto di Bruce Farr

Quando scriviamo che Freya è un Jeanneau Sun Odyssey 51 disegnato da Bruce Farr, in poche parole raccogliamo in realtà una storia molto lunga. La storia di un progettista e di una barca (oltre che di un cantiere) che hanno apportato numerosi e grandi cambiamenti nel mondo della nautica, tanto che non è esagerato dire che da 30 anni – da quando è stato presentato al Salone Nautico di Parigi del 1988 – il Sun Odyssey 51 è una delle barche che ha indicato l’evoluzione dei modelli da diporto.

Sun Odyssey 51: le innovazioni

Chi era presente a quell’edizione del Salone di Parigi racconta che quando scoprirono la barca vedere le due ruote dei timoni lasciò molti senza parole: era una cosa che all’epoca si vedeva solo sulle barche da regata, e che quel genio un po’ dissacrante di Bruce Farr non si fece problemi a portare su una barca pensata per la crociera. Il doppio timone consente di condurre comodamente sia da sottovento che da sopravento, e rende il passaggio dalla poppa al pozzetto molto più agevole delle grandi ruote delle barche classiche, e oggi che anche i 33 piedi hanno la doppia timoneria sembra assurdo che nessuno ci abbia pensato prima di Bruce Farr… Ma lui, in effetti, è a suo modo un genio, versatile e rivoluzionario: ha disegnato la prima barca a 12 anni e da allora ha progettato di tutto, dalle piccole barche ai maxi yacht, dalla crociera alle regate, vincendo e stravincendo  in ogni classe (tranne che nella Coppa America, la sua “bestia nera”), e inventandosi soluzioni innovative in qualsiasi campo, dai materiali alle forme.

Quella del doppio timone era solo la più evidente delle tante innovazioni che Bruce Farr introdusse nel disegno del Sun Odyssey 51, tutte finalizzate a cambiare l’immagine delle barche destinate al charter e alla crociera estiva: fino ad allora le barche da crociera pura erano barche lente e poco marine nelle manovre, mentre il Sun Odyssey 51, pur mantenendo una manovrabilità adatta anche ad equipaggi poco esperti, avrebbe avuto uno scafo veloce e altre caratteristiche che ne aumentano la marinità. Il Jeanneau Sun Odyssey 51 è stata una delle prime barche ad avere una superficie velica “importante” (125 mq per 14.000 kg di stazza), il bulbo “con le ali” per guadagnare un pescaggio inferiore e una stabilità notevole in navigazione, anche con andature portanti, e il genova rollato invece che con i garrocci di serie. In particolare poi, Freya è stata costruita con un’ulteriore serie di optional chiesti al cantiere dal primo proprietario, come le sartie volanti,  l’albero e i winch maggiorati, per aumentare ulteriormente la performance – il chiodo fisso degli armatori mediterranei abituati al poco vento, come dice Omero.

Anche il disegno di coperta del Sun Odyssey 51 fu innovativo, con i carrelli del fiocco vicini alla tuga per non ingombrare i passavanti, gli spazi prendisole liberi dalle manovre (rimandate sotto un piano fino al pozzetto) e il tavolo fisso in pozzetto, altra grande novità per l’epoca, oggi data per scontata. La poppa è un’altra delle novità più evidenti dello scafo del 51: larga, lunga e aperta, comodissima per la vita di bordo e così diversa dalle poppe alte e strette dell’epoca

 

Per il disegno degli interni il cantiere Jeanneau si avvalse di ben tre studi di architettura e design nautico incaricati di fondere i concetti di comodità, marinità e funzionalità per la barca che doveva essere l’ammiraglia del cantiere. Ecco che nascono per la prima volta i bagni privati per ogni cabina, una dinette dedicata solo alla vita diurna (senza cuccette per la notte), la cucina a U da utilizzare anche in navigazione, un tavolo da carteggio “vero” e spazioso, e spazi di stivaggio molto voluminosi.

Ma l’attenzione è andata anche a ciò che di una barca non si vede finché non la si usa davvero: il Sun Odyssey 51 ha serbatoi per 1.000 litri d’acqua dolce, tantissimi per un 51 piedi, distribuiti su tutto lo scafo, e per circa 400 litri di carburante. Il serbatoio del gasolio si trova in chiglia – soluzione rara e che senza un’accurata manutenzione può dare problemi, ma che consente di sfruttare gli spazi in maniera molto funzionale. Come molte delle imbarcazioni di quegli anni, anche i Sun Odyssey 51 sono stati costruiti ancora “alla vecchia maniera” con madieri e longheroni a vista, e alla resina vinilestere dello scafo sono state aggiunte stuoie di kevlar, una fibra sintetica con grandissima resistenza meccanica (la stessa utilizzata per i giubbotti antiproiettile), che da’ ulteriore robustezza e resistenza allo sfondamento.

 Disegno e specifiche tecniche

Sun Odyssey 51: alcuni punti deboli

Fin qui i pregi, ma il Sun Odyssey 51, come tutte le barche, ha anche dei difetti, o  meglio dei punti deboli, su cui nel tempo Omero ha lavorato molto per rendere la Freya migliore.

La grande soluzione del serbatoio del gasolio in chiglia, ad esempio, crea una debolezza dovuta alle correnti galvaniche e capita di sentire di Sun Odyssey 51 con il serbatoio bucato. Per evitarlo un’accortezza è quella di non lasciarlo mai vuoto, in modo che l’assenza d’aria e il gasolio stesso proteggano dalla corrosione. Ma una debolezza nel bulbo è una cosa seria, quindi è necessario anche effettuare controlli più accurati e ispezionare i prigionieri che fissano la zavorra al serbatoio o addirittura, come Omero ha deciso di fare sulla Freya, “incamiciare” il bulbo e lo scafo con uno strato di resina fissato sottovuoto.

Il punto di debolezza forse più evidente nello scafo del Sun Odyssey 51 sono gli oblò a murata, tanto che resinarli è stata spesso una tentazione. Ma quando non si naviga e si è in rada sono più potenti dell’aria condizionata, e allora Omero preferisce rinforzarli esternamente in occasione delle lunghe navigazioni con dei pannelli di plexiglass.

Per quanto valido il cantiere poi, nella costruzione delle barche di serie è frequente trovare nei punti meno visibili cose fatte non proprio a regola d’arte. Quando qualche anno fa abbiamo rifatto la sala macchine, ad esempio, c’erano chili e chili di resina messi lì senza un vero perché… Anche il fissaggio delle lande al passaggio della coperta dopo qualche anno ha richiesto di essere rivisto e rinforzato rispetto alla semplice siliconatura che, oltre a lasciare lasco al movimento della landa, rischiava di far filtrare acqua.

Non era stato fatto molto bene neppure il rinvio delle cime del rullafiocco del genoa e del caricabasso del tangone: per lasciare libera la coperta le due cime erano rimandate all’interno di due canalizzazioni che partivano dal gavone dell’ancora e terminavano poco a poppavia dell’albero. Le canalizzazioni erano una via d’acqua, e inoltre avere delle manovre non visibili non è in generale una grande idea quando si naviga, quindi Omero ha riportato le manovre lungo il trincarino, chiudendo le canalizzazioni.

Altro punto di debolezza sono i gavoni dell’estrema poppa, che per dare un facile accesso ai meccanismi del timone sono molto aperti e hanno poca tenuta d’acqua. Chiuderli resinandoli è un’opzione, ma in caso di necessità accedere ai frenelli e al settore sarebbe difficile, e allora Omero adotta un soluzione molto pratica: li sigilla con il nastro americano prima delle lunghe navigazioni.

Infine i bagni, gioia e dolore… Avere cinque bagni in barca è una comodità innegabile, ma questo vuol dire avere una quantità di fori nello scafo che rischia di non farti dormire di notte. Forse fare un’unica aspirazione, mantenendo separati gli scarichi, sarebbe stata un’idea migliore, ad ogni modo l’unica soluzione è una manutenzione continua ai passascafi e alle prese a mare.

 Alcuni lavori fatti a bordo

itinerario a vela da Palau ad Alghero la Pelosa

Al di là della tecnica

Al di là di ogni sacrosanta e importante descrizione tecnica, ci sono le sensazioni che la barca ti da’, fisiche e in buona misura indescrivibili, vero legame tra il marinaio e la propria barca – sono le sensazioni che fanno amare a ciascun armatore la propria barca, per quanto assurda e scomoda possa essere (e ce ne sono!).

Sulla Freya la prima sensazione è quella di essere “in casa” che tanti, abituati a barche più moderne, sentono quando salgono a bordo: il baglio largo, i legni color miele, la mobilia, il grande divano (e forse anche l’anima che ci mettiamo io e Omero…) rendono la Freya una barca che subito ti prende e ti accoglie nel suo guscio. Poi piano piano impari a conoscerla e a muoverti con lei, apprezzando tutte le piccole accortezze che a prima vista neppure avevi notato: la stabilità in navigazione, i tientibene sparsi ovunque, la coperta libera da ferramenta, le sedute del pozzetto con lo schienale alto, la pazienza sotto l’albero, il boma alto, il trusto della randa fuori dal pozzetto – tutti accorgimenti che solo un professionista meticoloso e velista davvero poteva progettare con così tanta attenzione.

E poi, su tutte, ci sono le sensazioni che la barca ti da’ in navigazione… Quando sente in poppa l’onda dell’oceano, la sua preferita, Freya fila stabile e veloce, morbida sul timone, impressionante quando con tutta la sua stazza scende giù dalla cresta tornando docile alla poggia. E quando deve affrontare la bolina (che pure non è la sua andatura preferita), si appoggia su un fianco e inizia a cavalcare, “da cavalla di razza”, come dice Omero, senza mai straorzare e tagliando le onde con quella sua prua così raffinata che io non smetterei mai di guardarla… Freya è una barca che vuole vento: anche se fa i suoi 7 nodi onesti anche nelle brezze del Mediterraneo, è più pesante dei 50 piedi costruiti oggi  e da’ il meglio di se’ in condizioni di vento più sostenuto. È nel vento che Freya ti fa sentire che è solida e veloce: è quando le Bocche si gonfiano nel Maestrale che lei torna in Sardegna dritta come un fuso a 9 nodi, è quando l’Aliseo comincia a soffiare che ti fa fare 1.000 miglia in 5 giorni e si infila a tutta vela tra i reef delle Grenadine, è quando l’Atlantico del nord decide che le Azzorre sono lontanissime che lei risale ogni onda portandoti a casa. E alla fine del viaggio, lungo o breve che sia, non puoi che esserle affezionato e grato – anche dopo anni, vedendola in rada o in porto, chi ha navigato con lei si avvicina e la saluta con emozione.

“La mia prossima barca sarà un Sun Odyssey 51”

La prima volta che Omero vide un Sun Odyssey 51 non fu al Salone di Parigi del 1988, ma alle Canarie nel 1992. Questo post, in effetti, lo stiamo scrivendo proprio per ricordare quell’incontro, con una barca e con un marinaio, Gigi Nava, che tanto hanno influito sulla vita di Omero. Gigi da qualche mese non c’è più, ma ci sono ancora Irene, che abbracciamo, e la sua barca, il Sun Odyssey 51 Va’ Pensiero, la prima che Omero vide. Lui all’epoca aveva Hélène III, barca molto bella ma ancora di vecchia concezione: stretta e con la poppa alta, con due pozzetti piccoli, i fiocchi ingarrocciati, le cabine poco abitabili. Mi racconta sempre di essere rimasto subito impressionato dalla funzionalità e dalla robustezza del Va’ Pensiero e di aver pensato “La mia prossima barca sarà un Sun Odyssey 51“, così come mi racconta che il fatto che Gigi, marinaio attento ed esperto, l’avesse scelta per lui era una garanzia superiore a tutte le altre.

Allo stesso modo molti che cercano una barca per il charter, ancora oggi, guardano a Omero e agli altri marinai esperti, come è normale che sia, e scelgono un Sun Odyssey 51, nonostante sia una barca disegnata e costruita 30 anni fa. Perché? Non hanno costruito barche migliori nel frattempo? Certo che sì, ma è sempre una questione di rapporto qualità/prezzo, punto sul quale ancora il Sun Odyssey 51 da’ del filo da torcere a molte barche più moderne, e di che cosa con una barca si vuole fare. La solidità costruttiva e le caratteristiche marine fanno del Sun Odyssey 51 una barca ottima per lunghe navigazioni, anche oceaniche, così come per la crociera – e non è facile trovare un’imbarcazione che unisca questi due mondi…

E quindi questo articolo lo scriviamo anche per dare una risposta completa (e troppo lunga per una mail o una telefonata) a chi ci domanda “di che anno è la barca?, dando per scontato che una barca più nuova sia migliore di una barca più vecchia. Speriamo con questo lungo post, dichiarazione d’amore per la nostra Freya, costruita nel 1991 dai cantieri Jeanneau su disegno di Bruce Farr, di aver spiegato perché, dopo 30 anni, una ventina di traversate atlantiche e decine di migliaia di miglia, resta una vera Signora del mare, più bella che mai.

barca a vela Freya Sun Odyssey 51

 

 

2 commenti
  1. Mauro Castagna
    Mauro Castagna dice:

    Affascinante descrizione….ma con voi si può imbarcare anche chi non ha mai messo piede su una barca a vela??

    • Sara
      Sara dice:

      Ciao Mauro, grazie. Certo che si può imbarcare anche chi non ha mai fatto vela. Il consiglio è di cominciare con un week end o una settimana di vacanza con poca navigazione, soprattutto per capire se ti piace.

I commenti sono chiusi.