Chiamatemi Ismaele (un pensiero di fine anno)
Che Moby Dick sia uno dei libri di mare che preferisco l’ho già scritto molte volte, e penso che in pochi non conoscano il suo memorabile incipit: “Chiamatemi Ismaele”.
Ma vi ricordate come continua il libro? La prima pagina non è meno famosa della prima riga: andare in mare è, per Ismaele, la salvezza del proprio animo e anche della propria sanità mentale – “un modo che ho io di cacciare la malinconia e regolare la circolazione”, un modo per evitare di scendere in strada e colpire qualcuno, dice. “Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.”
Poi Melville dedica alcune pagine straordinarie all’attrazione magica e senza tempo che il mare e l’acqua esercitano sugli uomini, attirandoli a sé – “fissi, come sentinelle silenziose, tutto intorno alla città, stanno migliaia e migliaia di mortali perduti in fantasticherie oceaniche”. Sono parole davvero bellissime quelle che Melville dedica all’acqua all’inizio di Moby Dick, non mi stancherò mai di leggerle.
Ma le pagine che mi sono tornate in mente oggi sono quelle che seguono.
Ismaele racconta di mettersi in mare non come passeggero ne’ come ufficiale o capitano (sebbene ne abbia i titoli), ma come marinaio semplice “ben dinanzi all’albero, ben giù nel castello e bene arriva alla testa d’alberetto”, dice, perché era a prua che vivevano i marinai. E non nasconde che soprattutto in principio non è facile sentirsi dare ordini, saltare di qua e di là, lavare i ponti, cacciare le mani nel secchio del catrame, ancor di più se prima di fare il marinaio si faceva un lavoro rispettato o se si discende da una famiglia abbiente. “È forte il passaggio, ve l’assicuro, da maestro di scuola a marinaio, e richiede una robusta alimentazione a base di Seneca e di Stoici, per mettervi in grado di sorriderci e sopportarlo”. Ecco le parole che mi sono tornate in mente oggi, mentre si parlava di dignità. Chiamatemi Ismaele
Tante volte in questi anni mi sono sentita dire “ma come, hai una laurea alla Columbia University e adesso lavi i piatti e pulisci la barca?”. Per fortuna al liceo mi hanno dato Seneca a colazione, pranzo e cena per diversi anni, e sono sempre riuscita a sorridere di fronte alla domanda e all’insinuazione. “Chi non è schiavo al mondo? Rispondetemi a questo” – avrebbe risposto Ismaele. Ma io dalla mia parte, oltre agli Stoici, ho anche la felicità che il mare mi ha regalato, e sempre rispondo: sì, lavo i piatti e pulisco la barca, e sono felice.
E da Seneca ho imparato anche che se la dignità ce la facciamo dare dagli altri, gli altri saranno in grado di togliercela, un giorno, quando vorranno. Per questo poco mi importa di venir definita hostess invece di marinaio, o di fare il secondo invece del comandante, o di tirare scotte invece di lavorare in un bell’ufficio. Per non parlare del pulire la Freya, che è una delle cose che faccio con più piacere al mondo.
“E dunque, per quanto il vecchio capitano mi dia ordini su ordini, per quanto io riceva pugni e spunzonate*, io ho la soddisfazione di sapere che tutto va bene, che ogni uomo è, in un modo o nell’altro, servito esattamente alla stessa maniera, voglio dire, da un punto di vista fisico e da uno metafisico, e così l’universale spunzonatura va attorno e tutti dovrebbero fregare la schiena l’uno all’altro e restare soddisfatti”. (* ci tengo a specificare che ogni riferimento a Omero è puramente casuale)
E dunque, se vi va, Chiamatemi Ismaele.
Un’elegantissima edizione Frassinelli del 1963 trovata per caso a Bologna, con la straordinaria traduzione di Cesare Pavese, dice di Moby Dick: “Questo libro è la massima rivelazione poetica che ci sia giunta d’oltreoceano”.
Non sono l’unica ossessionata da Moby Dick e dal suo celebre “Chiamatemi Ismaele”: artisti famosi come Barry Moser e Rockwell Kent hanno illustrato delle edizioni meravigliose del libro.
E uno dei ricordi più belli che ho degli anni a New York City sono i week end di “Maratona Moby Dick”, che vi consiglio di provare se passate da NYC verso la fine di novembre. Ogni due anni in posti diversi (librerie, musei, bar) per due giorni centinaia di persone leggono a voce alta il capolavoro di Melville, per la gioia di tutti quelli che non l’hanno letto e si sentono in colpa…
Che piacere leggerti, è sempre un arricchimento dell’anima :) Anche io pulisco la barca con immenso piacere e lavo i piatti sorridendo. Anche me, chiamatemi Ismaele.
Baci a voi due
Grazie cara Silvia, un abbraccio!