barca a vela adatta all’oceano

Una barca a vela adatta all’oceano

In questa stagione di traversata atlantica verso i Caraibi abbiamo ricevuto diverse mail di persone che chiedono a Omero quale sia una barca a vela adatta all’oceano.  E allora per quello che Omero chiama “l’angolo della posta del comandante” proviamo a rispondere non solo a chi ci ha scritto, ma a tutti quelli che sono curiosi. È una risposta molto lunga a una domanda che sembra semplice e non lo è affatto.

Ovvio che la barca a vela adatta all’oceano per eccellenza per noi è la Freya, e non perché è lei, ma perché ha le caratteristiche fondamentali che secondo Omero vanno ricercate in una barca adatta a lunghe navigazioni: la robustezza costruttiva, l’autonomia in termini di acqua ed elettricità, le caratteristiche di comfort adatte al numero e al tipo di persone che deve portare. Queste sono le caratteristiche basilari a cui guardare, il resto – gli strumenti, le vele, le dotazioni – si può aggiungere o modificare nel tempo, e dipende da tanti fattori anche individuali, dal numero di persone di equipaggio, alla loro esperienza, al budget che si ha a disposizione.

Una barca a vela adatta all’oceano è adatta anche all’equipaggio

Portando ai minimi termini queste caratteristiche ecco che negli anni ci sono state persone che hanno traversato l’oceano con catamarani aperti di 6 metri, canoe a remi, e perfino con delle automobili… Si vede che per loro il livello di robustezza, comfort e autonomia era sufficiente, e infatti sono tutti arrivati sani e salvi. All’estremo opposto ci sono i regatanti, che traversano l’oceano planando a medie di velocità pazzesche su barche che richiedono capacità tecniche, preparazione fisica e una motivazione agonistica che mediamente non esistono nei nostri equipaggi. E’ un aspetto fondamentale, questo: per essere condotta in sicurezza la barca deve essere adatta all’equipaggio.

se parliamo di una barca a vela adatta all’oceano ma anche ad un equipaggio “normale”, Omero suggerisce di non scendere sotto i 30 piedi di lunghezza per avere spazi sufficienti allo stivaggio, una velocità compatibile con i tempi di navigazione che la maggior parte delle persone possono permettersi, un po’ di comodità a bordo e spazio per muoversi in coperta senza troppe difficoltà.

Autonomia di acqua ed energia

L’autonomia in termini di acqua ed energia è ancora più importante della comodità, soprattutto durante le navigazioni oceaniche in cui non si può fare affidamento sul gasolio in maniera indiscriminata. Oggi le soluzioni in termini di produzione di corrente sono tante: la Freya ha due pannelli solari da 100W l’uno e due generatori eolici D400. In oceano con il sole e con il vento copriamo senza problemi i consumi medi della Freya (che ha 3 frigo sempre accesi) di circa 12 amper/ora.

Un’ora di motore al giorno va comunque fatta, prima di tutto per controllare che non abbia problemi  e poi per dar potenza alla radio durante i collegamenti. L’Omero-pensiero sui generatori a gasolio, invece, è che “o hai spazio per averne uno grande o è meglio non confondercisi” – discorso che vale per una barca a vela come la Freya, con equipaggi numerosi e quindi grandi consumi, ma che non vale per tutti – quindi noi a bordo il generatore non ce l’abbiamo.

Così come non abbiamo il dissalatore: una domanda quella sul dissalatore che viene sempre fuori e a cui Omero di solito risponde “Ma tu partiresti per l’oceano facendo affidamento sul fatto che il dissalatore non si rompa? O porteresti comunque la scorta d’acqua da bere?”. La risposta è ovvia, e quindi pur non negando l’utilità del dissalatore abbiamo deciso (per ora) di non averlo a bordo, anche considerando che la Freya ha ben 1.000 litri d’acqua nei serbatoi. Un’educazione all’utilizzo coscienzioso di un bene prezioso come l’acqua dolce, poi, fa anche parte dell’esperienza di navigazione a vela, e senza dissalatore a bordo si fa molta più attenzione…

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Le caratteristiche costruttive

La robustezza costruttiva è la la dote più importante di una barca a vela adatta all’oceano, tanto che Omero di solito a chi gli chiede come preparare un barca all’oceano risponde che le barche in buona misura devono essere costruite per l’oceano, solo dopo preparate. Tutti i punti deboli di uno scafo vanno conosciuti e andrebbero se necessario rinforzati. E’ difficile fare un elenco completo ed esaustivo, ma ce ne sono alcuni che vengono subito alla mente. L’attaccatura scafo-coperta, potenziale via d’acqua, i madieri della parte centrale dello scafo, dove si scaricano le tensioni dell’albero, e la prua, sempre a rischio di collisione con oggetti galleggianti (la Freya ha due paratie anti-sfondamento, una a prua e una a poppa).

Altro punto importante è il bulbo, che dovrebbe avere delle piastre di rinforzo per l’attaccatura allo scafo o comunque delle soluzioni costruttive che distribuiscano le tensioni su più punti invece che solo sui prigionieri (noi abbiamo resinato tutta l’opera viva per “incamiciare” il bulbo, non si sa mai…).

Altra cosa a cui spesso non si pensa è l’enorme sollecitazione a cui è sottoposto il timone, sopratutto nelle andature di poppa, e alle precauzioni che è meglio prendere per proteggerlo: prima di tutto lo skeg, che offre una buona protezione sia per gli sforzi che per eventuali collisioni, poi l’asse in acciaio e non in materiali magari più leggeri ma più fragili, e infine la losca, che oltre a una buona tenuta per evitare infiltrazioni d’acqua dovrebbe anche avere rinforzi laterali all’interno dello scafo.

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Uno dei disegni che mi fa Omero per spiegarmi le cose…

A questo aspetto di sicurezza e caratteristiche costruttive abbiamo dedicato qualche pagina anche nel libro “Il Mestiere del Mare”: Omero è aperto alle innovazioni e alle tecnologie, ma è comunque un navigatore che macina miglia su miglia e orgogliosamente tradizionale, che sa bene che in mare ti può capitare di dover fare a meno di tutto e di dover affrontare imprevisti di ogni tipo. In quei casi avere lo skeg è una bella sicurezza, così come è una sicurezza avere le sartie volanti da armare in caso di necessità, due stralli e un sacco di altre cose che appesantiscono la barca e “non vanno più di moda”.

Ma d’altra parte, e questo di solito sono io a dirlo a Omero, avendo un po’ di pazienza torneranno di moda anche quelle… come le carene a spigolo e i pantaloni a vita alta (!!!).  Passeranno i catamarani alti 8 metri e le aperture dei pozzetti verso prua, passeranno le mode e le contro-mode e resterà il mare. Sempre lui, a decidere chi passa o no, nel suo respiro che ha dato principio a tutto, senza curarsi di nulla – ne’ delle mode, ne’ degli skeg. Una barca a vela adatta all’oceano, allora, è forse la barca di un comandante e di un equipaggio che il mare lo rispettino davvero.

traversata atlantica tramonto e gennaker