traversata atlantica oceano gennaker

Un Blues per l’Oceano

È arrivata, puntuale come ogni anno quando non traversiamo e sempre più grave, la nostalgia dell’Oceano. Cerchiamo Orione in cielo mentre torniamo di sera alla Freya, tutta coperta e piena di attrezzi. Guardiamo a Ovest, sul mare, e sospiriamo. Il letto è fermo, le vele piegate, l’orizzonte nascosto, il vento solo un rumore lontano, sul mare.

Mettiamo un po’ di blues, mentre il caffè viene su e Omero cerca improbabili attrezzi su internet – “They call it stormy Monday, but Tuesday’s just as bad”, canta Eric Clapton. La nostalgia dell’Oceano non è una questione banale come potrebbe sembrare. Non sono il freddo e la pioggia a farla venire, non è la stagione – che anzi l’autunno ci mancava molto, con i suoi bei colori e l’odore di foglie bagnate. Dev’essere proprio la terra che è dura, molto rumorosa e piena di cose inutili, a far venire la nostalgia del mare. E non siamo neppure i soli a sentirla: i vari gruppi degli equipaggi si animano dopo mesi o settimane di silenzio, tutti insieme come per magia, di foto nostalgiche.

Ma siamo sicuri che preferiremmo essere in mare? E la comodità dove la mettiamo? Fuori ci sono 40 nodi di vento freddo e 4 metri d’onda, e io sono qui che mi preparo un bagno caldo mentre dall’ipad ordino una pizza. Se penso al freddo e all’acqua che prenderemmo là fuori stanotte per un attimo la nostalgia sparisce… Ma è un attimo. Perché là fuori, in realtà, tutto è più semplice. Mangiare, riposare, far andare la barca – non si pensa ad altro. Si rompe qualcosa? Si aggiusta. Si deve cambiare rotta o assetto? Si fa. In mare, e in traversata atlantica specialmente, quando si naviga senza vedere terra per tanti giorni, i fronzoli spariscono, molti problemi non esistono più – una vita per molti versi primitiva di cui è impossibile non sentire nostalgia.

Nostalgia che è come un mal d’Africa, come la voglia di una bella chiacchierata con una buona amica. Mentre mi ingarbuglio nei problemi della terraferma, tra bolli, carte, gelosie, appuntamenti e traffico, perdo il filo e mi incasino, penso che là in Oceano, come con una buon amica, quello che è più facile è soprattutto fare i conti con se stessi, distinguere tra ciò che è importante e ciò che non lo è. E che forse è questa la libertà.

Quando dico a Omero che ho nostalgia lui sorride, alza le spalle – so che non sente la mancanza delle cambuse e dei briefing, delle programmazioni e dei problemi, del partire a tutti i costi e delle date da rispettare – ma so che gli manca ascoltare l’acqua che corre lungo le murate, sentire la Freya che scivola nell’aliseo, godere di quegli spazi infiniti, vedere il sole che sorge a poppa e i delfini che giocano a prua. Ma Omero ha ormai troppe miglia sulla scia per fare differenza tra la terra e il mare: l’Oceano ha cambiato il suo carattere, e lui in mare è come se ci fosse sempre. Omero, come lo ha definito qualcuno, è blues puro, è Ray Charles sparato nella notte, è un Nuvolari che cavalca un’autostrada senza fine, e l’Oceano se lo porta dentro.

Decidete voi se combattere la nostalgia con il ritmo del blues, con quello dell’oceano, o con tutti e due..