Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio (Elogio della fuga)
Saremo romantici e forse un po’ banali, ma prima di partire per ritrovare l’oceano, non poteva mancare l’ennesima visione di Mediterraneo che, come tutti i buoni film (e i buoni libri), riesce a farti riflettere ogni volta che lo rivedi. Questa volta è stata la frase di apertura a cogliere la mia attenzione.
“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare” – Henri Laborit, Elogio della fuga
E ho scoperto così Elogio della fuga, il libro da cui la citazione è tratta: libro davvero straordinario, molto denso, assolutamente non banale. Magari l’avrete già letto tutti… Ma io ve lo consiglio lo stesso, e lo metto anche nella libreria del mare.
Come mai Elogio della fuga è un libro da leggere? Perché quello che elogia non è assolutamente un fuggire distruttivo, fine a se stesso, utopistico. È un fuggire sano, uno strumento di sopravvivenza a condizioni asfissianti che non ci danno più niente di umano. Un fuggire che è ricerca di un equilibrio più adatto all’individuo.
E giustificato con rigore scientifico da Laborit, che decisamente sapeva il fatto proprio in tema di sistema nervoso e strutture sociali: biologo, ricercatore specializzato nel sistema neurovegetativo, pluripremiato per le sue innovazioni e scoperte in campo medico. Se lo dice lui che la fuga è sana, insomma, c’è da fidarsi…
Il libro è complesso, è impossibile ridurlo a un post… Ma volendo provarci si può dire che Laborit, da biologo, aveva una visione ben precisa dell’uomo: un meccanismo nervoso condizionato nel proprio pensare e agire da regole e prassi sociali e culturali che si sono accumulate nei secoli. Laborit ne ha per tutti e tutto: l’amore, il lavoro, la fede, la cultura – ogni capitolo dell’Elogio della fuga è la dissacrazione di una certezza. Questo sistema di pressione e dominazione mette a rischio l’equilibrio di ciascuno, e di fronte a tanta violenza, dice Laborit, è più che legittimo fuggire, un po’ come fanno tutti gli animali di fronte al pericolo. Fuggire con la fantasia, con l’immaginazione, con la creatività. Fuggire inseguendo i propri desideri che, sarà un caso?, sono identificati con una nave:
“Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei cargo e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama Desiderio.”
In barca si fugge perché lo scontro tra uomo e mare è ad armi impari – non si può sfidare la natura – ma secondo Laborit neppure lo scontro tra uomini è leale, perché non ha più niente della cavalleria:
“Nel nostro mondo molto spesso non si incontrano uomini, ma agenti di produzione, professionisti che non vedono più in noi l’Uomo, ma il concorrente, e appena il nostro spazio gratificante interagisce con il loro cercano di prendere il sopravvento, di sottometterci. Allora se non siamo disposti a trasformarci in hippies o in drogati dobbiamo fuggire, rifiutare, se possibile, la lotta, perché quegli avversari non ci affronteranno mai da soli ma si appoggeranno sempre a un gruppo o a una istituzione. E’ finita l’epoca della cavalleria, quando si gareggiava a uno a uno in un campo da torneo. Oggi sono intere consorterie che attaccano l’uomo solo, e se per disgrazia quest’ultimo accetta il confronto, sono sicure di vincere, perché sono l’espressione del conformismo, dei pregiudizi, delle leggi socioculturali del momento. Se ci avventuriamo da soli in una via non incontriamo mai un altro uomo solo ma sempre una compagnia di trasporti collettivi. […]
Non rimane che la fuga. Ci sono diversi modi di fuggire. Alcuni si servono di droghe psicogene. Altri della psicosi. Altri del suicidio. Altri della navigazione solitaria. Forse c’è un altro modo ancora: fuggire in un mondo che non è di questo mondo, il mondo dell’immaginazione. Qui il rischio di essere inseguiti è minimo.”
Si può non essere d’accordo… Si può rifiutare per principio la fuga, si può credere nella protesta, nell’azione individuale, nella resistenza passiva. Ma per tutti quelli che si sono avventurati da soli per qualche strada poco battuta, per quelli che si sentono strani, per quelli che trovano troppo difficile rispettare proprio tutte tutte le regole – Elogio della fuga è una consolazione molto efficace.
Almeno inizialmente, per aiutare la convinzione che in realtà non è strano ricercare uno spazio diverso. E chissà che poi, rifugiati nel mondo dell’immaginazione, non si trovino anche modi per tornare dove vogliamo stare, e non dover fuggire più.