Yoga in barca a vela, aldilà delle mode
Lo yoga in barca a vela – e anche in spiaggia, sui surf, sulle tavole galleggianti – sembra essere diventato una moda. Io sono istruttrice di yoga da qualche anno, e pratico da più dieci anni: per me fare yoga la mattina è come lavarmi i denti – una necessità naturale – e quindi faccio yoga in barca a vela come lo faccio ovunque mi trovi. Ma dopo aver visto posizioni improbabili su altrettanto improbabili mezzi acquatici ho deciso di scrivere un po’ di cose che mi sembrano importanti. Come al solito solo un punto di vista, quello di chi in barca ci vive per la maggior parte dell’anno (facendo yoga), e qualche suggerimento che spero possa essere utile, ma nessuna pretesa di verità assoluta…
Che cosa significa “Yoga”?
La Freya non è di certo una barca dove regnano incensi, meditazioni e mantra. A bordo regnano cime, attrezzi, olii motore, siliconi e resine, attrezzatura da cucina e da officina. Ma, con Omero come comandante, la Freya non può che essere una barca molto zen: di uno zen più emiliano che tibetano, forse, e sicuramente di uno zen molto marino, fatto di quella pazienza e quella capacità di prendere quel che viene che poche cose come il mare ti sanno dare. Ed è questo spirito che serve veramente, molto molto di più di qualsiasi accessorio o atteggiamento di facciata per farne una barca adatta a fare yoga.
Lo yoga viene spesso associato solo alle posture (asana), ma yoga significa “unione”: unione di corpo, mente e cuore, per una condotta di vita diversa, da realizzare sì con la pratica fisica quotidiana e costante, ma non solo. Nelle tradizioni vediche l’esercizio fisico serve a rinforzare le giunture e i muscoli per permettere agli yogi di stare quanto più a lungo possibile fermi a meditare. Perché lo yoga è fatto soprattutto di meditazione, conoscenza, comportamento, e l’esercizio fisico è solo un mezzo, solo una parte dello yoga, ma non certo il suo scopo definitivo.
La bellezza di questa disciplina è però anche che le si può chiedere ciò che si vuole, o ciò di cui si ha bisogno in determinati momenti: così come chi viene in barca a vela per una vacanza non deve necessariamente farsi una traversata atlantica, chi decide di avvicinarsi allo yoga può trarne enorme benefici fisici senza per forza avvicinarsi agli aspetti più spirituali o alle altre pratiche yogi (le purificazioni, il vegetarianesimo, etc).
Quello che mi preme dire, però, è che quando si dice che si fa “yoga in barca a vela”, non necessariamente ci si limita agli esercizi a prua (più avanti nell’articolo ve ne indico qualcuno) o alla meditazione in coperta. Yoga in barca a vela è anche respirare, ascoltare chi abbiamo davanti, osservare gli altri e noi stessi in un ambiente diverso, godere quanto più si può del mare e della natura, sentire l’unione dei nostri sensi con la bellezza che ci circonda e con il continuo cambiamento in cui siamo immersi.
Yoga in barca a vela: la poesia
Il più famoso dei velisti a praticare yoga è stato senza dubbio Bernard Moitessier, guru della navigazione oceanica in solitario, e anche yogi a tutti gli effetti: nello spazio limitato del suo Joshua, in balía degli oceani, Moitessier non aveva certo spazio ne’ modo di praticare le posizioni più complesse, ma davvero aveva colto quello spirito dello yoga (in barca a vela o no), che vorrei trasmettere anche con questo post.
Moitessier parla dello yoga nel suo meraviglioso libro La lunga rotta. Solo tra mari e cieli: racconta di come un suo amico gli abbia regalato un testo sullo yoga e di come lui abbia cominciato a praticare dopo le lunghe fatiche dell’Oceano Indiano, durante quella traversata del Pacifico in cui ha meditato la scelta che lo avrebbe fatto passare alla storia. La scelta di abbandonare la competizione della Golden Globe, la circumnavigazione del globo in solitario (che stava di gran lunga dominando), per restare in mare – “perché in mare sono felice e forse anche per salvare la mia anima”, come scrive nel messaggio che lancia a bordo di una nave di passaggio.
C’entra lo yoga con la decisione di Moitessier di continuare a navigare, fare ancora un mezzo giro del mondo a vela e stabilirsi a Thaiti? Lui risponde così:
“Durante la lunga burrasca della Tahiti-Alicante mi stancavo molto a governare, perché non avevo trovato subito il ritmo giusto e avevo raggiunto troppo presto i limiti dell’esaurimento. Adesso, probabilmente, sono preparato molto meglio per fare fronte a una fatica prolungata, grazie allo yoga, che pratico ogni giorno, dopo la pericolosa traversata “a vuoto”, in stato di svuotamento, all’inizio dell’Oceano Indiano. Allora sono stato sul punto di abbandonare, e di fare rotta sull’isola Maurizio. L’ulcera mi faceva soffrire. Stavo malissimo, moralmente e fisicamente.
Un anno prima della partenza, un amico mi aveva mandato “Yoga per tutti”, di Desmond Dunne, con una lettera in cui cercava di spiegarmi che ero nervoso e stanco a causa del ritmo dell’Europa. Questa disciplina dello yoga, che egli praticava da due anni, aveva restituito l’equilibrio a lui e a sua moglie. Quel che mi diceva era vero, lo sapevo. Lo sapevo, anzi, da un pezzo.
Quando l’ho sfogliato, per la prima volta, nell’Oceano Indiano, ho visto sprigionarsi da quelle pagine tutti i valori della mia Asia natale, tutta la saggezza del vecchio Oriente, e vi ho ritrovato alcuni di quei piccoli esercizi che facevo istintivamente, da sempre, quando ero stanco. La mia ulcera ha smesso di farmi soffrire. Non ho più avuto la lombaggine. Ma, soprattutto, ho trovato qualcosa di più. Uno specie di stato di grazia, indefinibile. Può darsi che alcuni lo possiedano innato. Altri possono un giorno incontrarlo sul cammino della loro vita. Alcuni non lo conosceranno mai, e non ha importanza. La cosa essenziale è che esiste, e che con esso le cose riprendono il loro posto naturale, il loro equilibrio nell’universo interiore.”
Yoga in barca a vela: la scienza
Dalle chiacchiere con una neuroscienziata che è stata a bordo quest’estate (ciao Cristina!) mi è sembrato di capire che la scienza si stia muovendo sempre di più nella direzione di misurare gli effetti che lo yoga, come molte altre discipline tradizionali, hanno sul corpo e sul sistema nervoso umano. Cristina mi spiegava che i vantaggi dello yoga (come appunto di molte altre discipline simili) si possono ricondurre da un punto vista scientifico essenzialmente ad un miglioramento delle capacità di cinestesia (o propriocezione), ovvero della percezione del proprio corpo e dei propri movimenti nello spazio.
Attraverso un miglioramento di queste capacità si aumentano coordinazione, forza, flessibilità, velocità, capacità di controllare i movimenti e di rilassarsi. Si impara di nuovo a dialogare con il proprio corpo ad un livello più profondo e in modo più attento di quanto non facciamo di solito nella routine moderna, fatta di posture sbagliate e di movimenti meccanici, in cui l’intelligenza del nostro corpo spesso non è neppure più coinvolta. È ormai molto diffuso tra gli sportivi di livello, ad esempio, l’utilizzo di attrezzi che simulano una situazione di disequilibrio (tavolette, mezze sfere, etc) per rieducare il corpo ad ascoltare i segnali dei muscoli e dei nervi, e correggere di conseguenza la postura e il movimento.
Le affinità con la barca a vela sono evidenti: in barca i movimenti sono (o dovrebbero essere) completamente diversi da quelli a cui siamo abituati, dovremmo essere molto più attenti a quello che l’esterno ci dice, e mantenere l’equilibrio richiede adattamenti diversi da quelli che usiamo in terra. Lo yoga può quindi essere sia un “sostituto” di alcuni dei benefici che la barca a vela porta al nostro corpo, sia aiutarci ad adattarci meglio alla vita a bordo.
Yoga in barca a vela: qualche esercizio
E, in perfetto stile yogi, dopo la filosofia ecco anche un po’ di pratica. Da insegnante non posso che consigliarvi di non lanciarvi troppo nel fare gli esercizi da soli, meglio se almeno le prime volte vi fate aiutare e controllare la postura da un esperto. Ma davvero non c’è bisogno di esagerare, e basta praticare qualche semplice posizione per cominciare e sentire subito i benefici dello yoga.
La sequenza più famosa, con cui io comincio ogni mia giornata, è il Saluto al Sole (Suria Namaskar), una sequenza di diverse posizioni che fluiscono una nell’altra e che sono un ottimo riscaldamento muscolare (utile se poi si passa la giornata a cazzare, lascare e saltare di quà e di là…) e un perfetto pretesto per prendervi qualche minuto tutto per voi e iniziare la giornata con calma, salutando e ringraziando tutto quello che vi circonda, respirando piano.