Damien – La giusta rotta
Penserete che stia trascurando il blog… Forse un po’ è vero. Nel pieno della stagione c’è un sacco da fare a bordo e il tempo libero a dirla tutta preferisco passarlo nuotando, a “chiacchierare” con le amiche occhiate e con le salpe. Ma l’altra parte di verità è che è da mesi che sto scrivendo un post, e mi sono impuntata su quello. Ho cominciato un giorno della scorsa primavera, mentre io e Omero stavamo ancora sistemando la Freya in cantiere, e poi l’ho scritto e riscritto decine di volte, cercando di dire qualcosa prima di tutto a me.
Era un giorno perfetto: poco vento, un sole già tiepido, il computer per scrivere, il cane del cantiere accucciato ai miei piedi, la Freya che già luccicava e una bella serata lungo il mare che mi aspettava. Poi sono arrivate le brutture che tutti siamo costretti a sopportare e che ormai quasi non notiamo più: persone che davanti ti sorridono e dietro sparlano (non perché ne hanno motivo, ma perché è normale fare così), le continue notizie delle varie forme in cui si manifesta la cattiveria umana, le invidie, le bassezze. E ho cominciato a scrivere, molto amareggiata per la situazione, ma anche in qualche modo contenta, perché sentivo di aver scoperto ancora una volta qualcosa di me che non sapevo. Anzi, di più: ho sentito risuonare dentro di me qualcosa, come un pensiero che arriva da lontano e finalmente si incastra al suo posto. Chissà se vi è mai capitato…
E la mente è andata subito a uno dei miei libri di mare preferiti, Damien.
Damien: 55.000 miglia a vela
Difficile pensare che la storia di Gerard e Jérôme, i due ventenni francesi che costruirono il Damien, una barca a vela di 10 metri, per affrontare i mari australi abbia qualcosa in comune con me. Eppure è forse l’unico libro di mare che ho letto che riesce a mettere a fuoco qualcosa così difficile da spiegare a chi non va per mare (e anche a qualcuno che ci va) che spesso neppure ci si prova.
Dietro alle descrizioni dei tramonti, delle navigazioni impegnative, delle albe in mare, dietro alle sensazioni che ci regalano il vento e le onde dell’oceano, gli incontri con le balene e con gli altri navigatori, è la ricerca dell’essenzialità e della semplicità a spingere chi naviga, il vero motivo che spiega le scelte di chi va per mare, estreme e folli agli occhi dei più, fatte di scomodità, difficoltà, lontananza, e che spesso chi sta a terra non riesce a cogliere.
Ma andiamo per gradi. Gerard Janichon e Jérôme Poncet passarono cinque anni a progettare e costruire il Damien, partirono da La Rochelle nel 1969 e nei successivi cinque anni percorsero a vela 55.000 miglia: portarono Damien dalla Francia all’Amazonia, dal Grande Nord all’Antartide, in condizioni estreme e ovviamente senza alcun supporto – uno dei viaggi più straordinari della storia della vela. Gerard, l’autore del libro, era un artista, testardo, sublime e leggero; Jérôme, il suo compagno di viaggio e amico, aveva invece una manualità straordinaria, ed era lui che spingeva il Damien ai limiti. Negli anni in cui Parigi era nel pieno della contestazione, quella barca e quel viaggio erano la loro personale ricerca, la loro formazione, la loro sfida.
Continuamente messi di fronte alla potenza della natura, Gerard e Jérôme riescono a non perdere mai il senso della propria scelta: Gerard dopo la seconda capriola del Damien con l’albero in acqua nei mari australi (rimase rovesciato per ore prima di riuscire a raddrizzarsi) si dice “per me è troppo“, ma con chi potrebbe prendersela se non con se stesso? E non fa neppure quello. Si chiede perché ha scelto quella rotta, e quando si ricorda il motivo riprende a guardare il mare e le vele del Damien, per metterle a segno e continuare ad andare. La loro ricerca di libertà è senza tempo, la loro lucidità è quella che solo l’andar per mare sa dare (a chi la cerca).
Una rotta fatta di attimi presenti
Come avranno fatto? – continuavo a chiedermi la prima volta che ho letto il libro – Perché hanno deciso di sopportare così tanta fatica, pericolo, scomodità? La risposta è venuta quel giorno della scorsa primavera, ed è una risposta molto semplice. A terra sembra tutto più facile e più comodo rispetto al mare, ma non lo è.
O meglio, “costa” molto di più: abbiamo tutte le nostre certezze, qui in terra, tutti i punti di riferimento, ma per vivere, fare cioè “qualcosa di più che esistere“, dobbiamo fare una fatica immensa. Per riuscire a vivere davvero dobbiamo costantemente liberarci di tantissimi pesi, riuscire ad elevarci sopra alle piccolezze, le brutture, le cattiverie che di continuo ci vengono buttate addosso. In mare tutto questo non cessa di esistere, ma è più facile liberarsene perché il “mondo dominatore, schiacciante di tranquilla potenza” si manifesta di continuo, assorbe tutte le nostre attenzioni, ci fa vedere in ogni momento quello che è vero.
Il mare ci ricorda con semplicità e forza che noi uomini siamo a mala pena in grado di contenere un attimo di presente con tutte le sue sfumature, e che è davvero una sciocchezza perdere tempo a tessere deboli trame di passati sbagliati e futuri improbabili. Così, in mare, anche se per la sicurezza dobbiamo sempre programmare e prevedere, sappiamo bene che ciò che conta è solo fare la cosa giusta ogni momento. Una rotta fatta di attimi presenti, che sono uguali solo in apparenza, come a chi non sa ascoltare sembra sempre uguale il suono del vento tra le cime e quello dell’acqua lungo le murate.
Gerard e Jérôme sanno raccontare meglio di chiunque altro questo bisogno di essenzialità, questa ricerca di un tempo davvero presente e pieno. E sanno anche raccontare una sfumatura di questa ricerca che è tremendamente difficile da far capire agli altri, a tutti quelli che ti chiedono “e quindi adesso cosa hai intenzione di fare?”.
Cercare davvero l’essenzialità è un lavoro difficilissimo, e non è detto che ci si riesca, ma quello che l’andar per mare può dare (come tutte le esperienze a stretto contatto con la natura) è l’idea, la percezione di quello che davvero nel tuo cuore è essenziale. Qualcosa che vibra, e che solo dopo molto tempo diventerà un suono, un’intuizione che ci metterà tempo ad assumere una forma compiuta. Un atteggiamento – quello di prestare più attenzione ai sensi, di perlustrare le proprie paure, di essere liberi dai giudizi degli altri, di “levare” – che piano piano si fa più forte e più grande, fino ad arrivare anche oltre il mare.
Tra tutte le meravigliose pagine scritte da Gerard, ce n’è una che mi gira in testa dalla prima volta che l’ho letta, e che più di una volta mi ha costretto ad alzarmi per cercarla e rileggerla. Oggi che finalmente la rileggo sorridendo, la dedico a chi sparla alle spalle (pensando di non essere sentito), a chi fa cattiverie e bassezze, e a chi mi dice (non interpellato) che quella che ho scelto non è la giusta rotta.
“Non riusciamo ancora a lavorare. Meditiamo. La nostra recente avventura ci ha portato qualcosa di molto prezioso: il prezzo e la durata della vita. Il gusto di ogni cosa e la voglia di quelle più semplici, più belle: perché se è vero che si può vivere in modo artificiale, ora sappiamo che non si può morire senza scoprirne tutta la vanità. […] I marinai sanno meditare e raggiungere la saggezza. Correndo i mari si corre dietro a qualcosa di essenziale che richiede tempo per delinearsi. Nonostante la nostra recente esperienza e quelle che verranno in seguito, non credo sia nel corso del periplo con il Damien che avremo accesso a questo “essenziale”. Assorbiremo le risonanze che ne rappresentano i sentieri di avvicinamento. […] Il mare è immutabile. Come il cuore degli uomini veri mai soddisfatti di se stessi. E che, forse, realizzano così la loro vita.”
Se volete leggere Damien, dovete sapere che ne troverete due: il primo libro, Damien. Dallo Spitsberg a Capo Horn, racconta della costruzione della barca e della prima parte del periplo, da La Rochelle allo Spitsberg, poi lungo il Rio delle Amazzoni e il passaggio di Capo Horn. Il secondo libro, Damien. Iceberg e mari australi
, racconta invece delle navigazioni nei mari delle alte latitudini del Sud.
Ovviamente il consiglio è di leggerli (e rileggerli) entrambi.