Perchè al timone non ci sono le donne?
Come sapete, quello della donna a bordo è un argomento caro a me e al blog. È un tema difficile da trattare senza cadere negli stereotipi, ma oggi ho visto che anche i giornalisti di Yachting World ci provano, cautamente, consapevoli che il solo parlarne può essere preso come provocazione e sessismo, e allora mi lancio anche io. “Perchè al timone non ci sono le donne?” si chiede l’autrice “La vela è rimasta negli anni ’50?”.
Il titolo dell’articolo si riferisce alla più classica delle scene: l’ancoraggio e l’ormeggio, momenti che amplificano ogni tensione del velista, e che diventano spesso l’apice del maschilismo più evidente. Uomo al timone, donna a prua, e già qui c’è qualcosa che non quadra: dare catena e tirarla su, assicurare il corpo morto tirandolo in barca, soprattutto se il salpancora non è elettrico, è lavoro ben più faticoso fisicamente dello stare al timone. Ma mentre a terra lo stereotipo “uomo=forza” batte lo stereotipo “donna=incapace di guidare”, in mare lo stereotipo “uomo=timone” batte qualsiasi cosa. E anche considerare il ruolo di chi sta a prua inferiore a quello del timoniere è di per sè uno stereotipo. Se c’è vento, se ci sono molte barche, è l’ancorista a dover dare indicazioni al timoniere ed è fondamentale che sappia bene quello che fa. Lo stesso è vero per l’ormeggio in porto, quando fermare la prua e impedire che la barca urti quelle vicine non è affatto secondario al non andare a sbattere in banchina. Tra timoniere e ancorista, come tra moglie e marito, ci deve essere gioco di squadra e un’intesa perfetta.
Il problema è che spesso la donna a prua è oggetto di urla disumane e insulti, che oltre al becero maschilismo indicano anche la scarsa abilità del timoniere: in condizioni normali, se si sa quello che si sta facendo basta guardarsi, fare dei cenni, non c’è bisogno di urlare (indimenticabile nel ruolo del super uomo al timone il signor V., magico incontro della scorsa primavera ligure…). Purtroppo però, come in molti altri campi, le donne devono dimostrare di essere capaci per essere prese in considerazione, mentre gli uomini sono considerati capaci di default. Il che, naturalmente, spesso non è vero.
L’autrice snocciola molte motivazioni “sociologiche” sul perchè le donne non facciano in barca a vela quello che stanno facendo in molti altri campi, e cioè prendere in mano il timone anche se c’è il rischio di fare qualche danno: le donne sono più avverse al rischio, le donne tendono a volere saper fare bene una cosa prima di farla, le donne sono meno sicure di se stesse, le donne hanno altre capacità. Ma poi assume una prospettiva decisamente più interessante sull’argomento, chiedendosi come mai gli uomini che navigano, consapevoli quindi di tutto quello che può succedere in mare, non si preoccupino di dare spazio alle proprie mogli e compagne che navigano con loro, affinchè imparino il più possibile e possano essere autonome se dovesse capitare qualcosa, o magari di aiuto in momenti complicati.
Questo in effetti è il punto. Lasciamo stare il fatto che magari la donna è appassionata di vela quanto il suo compagno, o perfino che la donna vada in barca solo per accontentare il marito (è un diritto, non c’è niente di male). Il punto è che si è in mare, e sicurezza dovrebbe battere maschilismo. E questo è l’approccio sulla Freya: le manovre complesse le fa il più esperto a bordo (soprattutto quando non siamo soli), ma Omero non me ne risparmia una per farmi diventare un secondo sempre migliore, per insegnarmi tutto, anche quello che non vorrei imparare. Andavo poco d’accordo con i motori fuoribordo, e mi ha spedita a fare su e giù finchè non sono diventata “il comandante del tender” (non sono ancora sicura che sia una buona cosa). Ogni tanto soffro il mal di mare e vorrei tanto cedere alla tentazione di buttarmi in cuccetta, e invece no: quando navighiamo noi due sono io che vado all’albero, sono io che prendo e mollo i terzaroli, vado a prua con lui a tangonare il genoa, etc. Per non parlare dell’elettronica di bordo, della radio, del cambio filtri.
Per timonare non abbiamo problemi: timonare piace più a me che a Omero (anche se lui è più bravo), e io dico a tutte le ospiti che non sono sicure di voler provare e titubano un po’ che “per timonare serve sensibilità, è una cosa da femmine“, lanciando i semi di un nuovo, inaspettato, stereotipo.
Potete leggere l’articolo di Yachting World (in inglese) a questo link, mentre per altre perle di Omeropensiero sulle donne a bordo, potete leggere questo post, da cui tutto ha avuto origine…
Sempre un piacere risentire l’Omeropensiero!
Grazie all’esperienza con lui oggi sono alle Lofoten
Lunga rotta per tutti noi
Ciao Paolo! Accidenti se sei arrivato lontano! È davvero sempre un piacere per me sentire chi ha preso qualcosa di buono dalla mia esperienza. Resti lì o ti muovi?
Ciao carissimi!!
Ebbene, lo confesso… Io il timone lo mollo sempre a moglie o figlia quando devo far qualcosa a prua, che le braccia per ancore e terzaroli migliori a bordo son le mie (maschilista? !)
Ciao Riccardo! Io non ci capisco più niente: penso di essere femminista e Sara mi dice che sono maschilista. Mah. Comunque adesso, per esempio, io sono nel gavone ad avvitare, lei è lì che sceglie il colore per le tappezzerie nuove…
Insomma a noi sempre i lavori “di fino” !!
Anche perchè ti immagini se li scegliesse Omero i colori… :)