Piratesse

Chissà perché ultimamente penso sempre più spesso alle piratesse. Sarà perché man mano che aumenta il caos da cantiere sulla Freya aumenta la mia voglia di ammutinamento… Non lo farò, ma supportare e sopportare un marinaio in cantiere, tra polvere, arrabbiature, nevrosi, fatica e scomodità non è impresa facile :) Oltre ad Anne Bonny e Mary Read, le più famose piratesse della storia, ce ne sono state molte altre. Anne e Mary sono diventate famose perché si vestivano da uomini, erano feroci come gli uomini, parlavano e bevevano come uomini.

Piratesse che da uomini non si sono mai volute vestire…

Uno stereotipo un po’ fastidioso, ma d’altra parte in un’epoca in cui le donne erano proibite a bordo, e a terra non potevano godere degli stessi diritti degli uomini in termini di proprietà e affari, vestirsi da uomo era l’escamotage più “semplice” per riuscire a farsi largo nel mondo.
La storia di Anne e Mary mi fa pensare soprattutto a quante altre donne, magari mai scoperte o non passate alla storia, fossero imbarcate in abiti maschili. Ma ci sono molte altre storie di donne pirata, diverse e complesse, che da uomini non si sono mai volute vestire…

piratesse

Ching Shi ha terrorizzato le navi degli imperi europei nel Mar di Cina nei primi anni del 1800: comandava una flotta di oltre 300 giunche e di oltre 40.000 uomini, la Flotta della Bandiera Rossa, e solo quando le venne offerta l’amnistia (e la possibilità di tenersi i beni depredati) si calmò e si ritirò.

Jeanne de Clisson nel 1300 armò tre navi, le dipinse di nero e terrorizzò i vascelli francesi che navigavano nella Manica con una torcia in una mano e la spada nell’altra, conquistandosi il titolo di Leonessa di Bretagna.

Grace O’Malley comandava una delle più grandi flotte irlandesi del 1500 e usava i proventi delle azioni corsare per finanziare la ribellione contro il crescente potere inglese. Pare che all’incontro con la regina Elisabetta in cui negoziò il proprio ritiro (in cambio della liberazione dei figli) indossasse un bellissimo vestito e si esprimesse in un ottimo latino, pur non abbandonando il proprio coltello.

Ingela Gathenhielm fu la regina indiscussa della pirateria nei mari del nord, pianificando le azioni della flotta che faceva capo al marito e, alla sua morte, prendendone il controllo fino alla metà del 1700.

Sadie Farrell terrorizzava le rive dell’Hudson lungo l’isola di Manhattan nel 1800, ed era famosa per prendere le proprie vittime a testate prima di derubarle.

Sayyida al Hurra nei primi anni del 1500 controllava dalle proprie basi marocchine tutto il Mediterraneo occidentale, alleata con il pirata turco Barbarossa che controllava quello orientale. Quando il monarca marocchino la volle prendere in sposa, lei si rifiutò di andare a Fez per sposarsi, e fu il re a viaggiare fino a Tetouan per il matrimonio.

C’è qualcosa che unisce le storie delle donne pirata: tutte hanno preso il mare, e poi armato la bandiera nera, per motivi legati ai loro uomini – padri, figli, mariti o amanti. Ching Shi, Sayyida e Ingela divennero famose alla morte dei rispettivi mariti, ereditando e migliorando il loro business di pirateria. La furia di Jeanne de Clisson era stata scatenata dall’uccisione del marito e dei figli da parte dei francesi. Grace O’Malley aveva ereditato la flotta del padre.

C’è poco da fare: il mare, in passato, era cosa da uomini, e se le donne decidevano di affrontarlo, con la sua scomodità e la sua violenza, era nella maggior parte dei casi per seguire il proprio uomo. Ma le donne, diventate piratesse forse per caso o per amore, una volta che erano in ballo ballavano, e a modo loro.