Blu oltre la prua
Il comandante della Marina Britannica Jack Aubrey è un uomo di mare a tutti gli effetti: gioisce dei successi delle proprie navi, soprattutto di quelli delle amate Sophie e Surprise, le spinge al massimo e le sente “parlare” attraverso i rumori delle sartie, delle vele e del fasciame. Conosce i propri uomini uno per uno, apprezza un buon marinaio più di ogni altra cosa, è un po’ donnaiolo e impacciato con le questioni terrestri, la burocrazia e la politica. Ride delle battute più stupide, ma quando si tratta di elaborare una strategia di battaglia, o di guadagnare il vantaggio del vento su un nemico quasi invisibile, di notte, diventa un’aquila, freddo e calcolatore, e niente lo distrae dall’obiettivo, che di solito raggiunge compiendo imprese straordinarie dal punto di vista marinaresco. È un uomo alto, massiccio, un po’ troppo dedito al bere e al mangiare ma pur sempre agile e in grado di salire in testa d’albero e scendere usando il paterazzo con un balzo.
Stephen Maturin, suo fraterno amico, è l’esatto opposto: gracile, bruttino, impacciato a bordo, incapace di distinguere la dritta dalla sinistra anche dopo tanti anni di mare, imbarcato come chirurgo di bordo e, in realtà, soprattutto come membro dei servizi segreti inglesi impegnati nella lotta contro Napoleone in tutti i mari del mondo. Stephen gode del più grande rispetto da parte di tutti i marinai, che gli hanno visto fare un’operazione al cervello in pieno oceano, sostituendo l’osso del cranio rotto con una monetina pressata: non è certo un “segaossa” qualunque… In virtù della sua scienza, tutti a bordo gli perdonano le eccentricità da naturalista che non riesce ad evitare: esemplari vivi e morti di qualsiasi tipo di insetto e animale portati a bordo, lungaggini a terra per inseguire un uccello che rischiano di far perdere la marea, vestiti sempre sporchi di terra e di sangue che rischiano di far sfigurare la barchetta durante le riviste e le cene ufficiali. Eppure Stephen, uomo riflessivo, attento, amante della natura, ha un lato oscuro: è schiavo del laudano (tintura di oppio), e una volta approdato in Sud America anche delle foglie di coca, e non si fa scrupoli ad uccidere. I suoi occhi chiarissimi e quasi da rettile sono l’unica cosa che tradisce questo aspetto della sua natura. Sia Jack che Stephen amano la musica e passano le serate nella cabina di poppa a suonare violino e violoncello.
È la storia delle loro vite a svolgersi in mezzo alle battaglie, alle navigazioni e alle esplorazioni di quell’epoca così gloriosa e affascinante dell’andar per mare. E O’Brian è un maestro a ricostruirla e a descrivercela in maniera così puntuale da farcela letteralmente rivivere, per altro ampiamente farcita di ottimo humour inglese che fa sorridere a denti stretti mentre si legge.
Tutto è preciso: il complesso gergo marinaresco, così affascinante (io adesso quando salgo dal trabattello in cantiere dico che passo dal “buco del gatto”), le correnti e i venti prevalenti, le date delle battaglie. La vita di bordo scandita dalla campana diventa una routine anche per chi legge: il cabestano per salpare l’ancora, le virate al grido di “dai volta”, le passeggiate sul cassero sopravento – e io la mattina ogni tanto dico anche “Killiiick! Il caffè!!”, ma Omero fa finta di non sentirmi. Insomma, un mondo affascinante in cui vi consiglio di immergervi, anche se il dolore che proverete quando finirete la serie sarà reale.
Parlando dei libri, il giovane Holden di Salinger dice: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li
hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Ecco, sarà così per me e la saga di Jack e Stephen, e non mi pare neppure l’unica cosa che Salinger e O’Brian hanno in comune.
Entrambi schivi, restii a parlare della propria vita privata fino al paradosso. Entrambi hanno scritto libri che raccontano storie, ma che raccontano soprattutto che, anche se tutto cambia intorno a noi – anche se i ragazzini non sono più ammessi nei night club di New York, anche se non navighiamo più su navi di legno con il sestante e i cannoni – c’è qualcosa che non cambia. È l’animo umano, troppo complesso per essere ridotto a poche parole.
Se volete immergervi, cominciate da qui:
Complimenti Sara, magnifico post :-)
Luca/Leon
Grazie mlle :) Ti pensavamo l'altro giorno io e Omero, mi mandi in un commento la tua mail così ti scrivo?(non la pubblico eh!)
Se sei arrivata al ventesimo… fermati lì. Te lo consiglio. Il ventunesimo è incompiuto e ti l'ascia con l'amaro in bocca.
E' meglio fermarsi e immaginare quello che avrebbe potuto ancora succedere…
Comunque complimenti, perchè i tuoi post mi fanno sempre gradevole compagnia.
Silvia
Avevi ragione Silvia… davvero tremenda l'interruzione :(
Ma come facevo a non leggerlo?
Grazie mille dei complimenti!