Traversata Atlantica in barca a vela, diario dell’arrivo in Martinica

Dopo avere strambato la mattina presto mi sono diretto con la prua sul canale di St. Lucia, verso sud, per poi strambare di nuovo verso la Martinica. Il vento era scarso e tendeva a calare, facendo ritardare il nostro arrivo.
L’attività principale della giornata era lo scrutare con attenzione l’orizzonte che per tanti giorni ci era parso infinito e che ora avrebbe dovuto interrompersi, finalmente, con l’avvistamento delle isole…Martinica…St.Lucia, quale si sarebbe vista per prima?
I nostri occhi sarebbero riusciti a distinguere le isole dalle nuvole basse?
L’emozione dell’arrivo dopo un viaggio così speciale racchiudeva anche l’emozione per nuovo cambiamento che ci aspettava: il modo ed il ritmo di vita di bordo, al quale ci eravamo abituati in questi venti giorni sarebbe cambiato di nuovo una volta atterrati. L’avvistamento diventava così un punto di svolta delle nostre vite e dei nostri pensieri, tutti si chiedevano a quante miglia di distanza avremmo individuato le sagome delle isole…
Già dalla mattina avevo intravisto che tra le nuvole basse spuntava St. Lucia, riuscivo a distinguerla per l’abitudine che ho sviluppato in questi anni di traversate e non volevo togliere ai miei compagni di viaggio la gioia di avvistarla e di urlare “TERRA!”
La tradizione a bordo di Freya è che chi per primo vede terra offra da bere, quindi erano tutti desiderosi di assumersi l’impegno di pagare lo spumante. Dai miei calcoli avremmo iniziato i festeggiamenti circa all’ora di pranzo, così avevo preparato dei crostini con tonno, pomodoro e uova leggermente piccanti, adatti a fare un consistente fondo alla gran quantità di spumante che ci aspettava.
Finalmente abbiamo brindato e festeggiato, l’equipaggio era euforico ed iniziava a programmare il resto della giornata; qualcuno si sentiva già sull’aereo, senza considerare che mancavano ancora 20 miglia e con il poco vento che c’era avremmo impiegato tutto il pomeriggio per arrivare.
A poppa pian piano si condensavano nuvole nere e qualche piovasco, era in arrivo un po’ di vento che ci avrebbe fatto camminare.
Il vento pian piano rinforzava, conoscendo il fenomeno decisi di predisporre l’equipaggio per una manovra di emergenza che poteva essere lascare oppure addirittura ammainare le vele.
Avevamo armato il gennaker, che con queste raffiche di vento non è facile da tenere perché porta tanto all’orza ma volevo prendere tutto il vento perché poi, passato il groppo, sarebbe diminuito completamente; d’altra parte se fossi uscito dalla sua traiettoria sarei andato in bonaccia.
Tutto sommato nonostante il cielo fosse scuro, non mi pareva che portasse tantissimo vento e decisi di sfruttarlo al meglio.
Mi ero messo al timone per sentire la reazione della barca ed eventualmente coordinare le manovre.
La Freya tendeva ad andare all’orza e a questo punto non si poteva lascare perchè avevo una ritenuta sulla scotta, quindi ho fatto lascare il braccio del gennaker che era armato come uno spinnaker, cioè con il tangone.La cima è sfuggita dal winch con il risultato che il tangone è andato a picchiare con forza sullo stralletto, rompendosi in due. Vento e pioggia arrivavano con forza, abbiamo velocemente ammainato il gennaker, grazie alla calza che manovrata correttamente è molto utile nelle operazioni di emergenza.
Come immaginavo il groppo si era succhiato tutto il vento.
Dopo una mezz’oretta abbiamo avuto di nuovo vento sufficiente per riaprire il gennaker, questa volta murato sulla prua perché il tangone era inservibile, ed abbiamo percorso le ultime miglia di avvicinamento.
Quando ho superato la punta meridionale della Martinica che è indicata da un piccolo faro, abbiamo stretto il vento, ammainato il gennaker ed aperto il genova, dal traverso pian piano a stringere fino alla bolina stretta per entrare nell’ ancoraggio di St. Anne.
Abbiamo chiuso il genova e poco dopo ci siamo resi conto che il viaggio era finito… poi abbiamo ammainato anche la randa, la vela che in 20 giorni non era mai stata calata completamente, solo davamo e toglievamo qualche mano di terzaroli, ma ora stavamo davvero arrivando… ho acceso il motore sapendo che il gasolio era agli sgoccioli, infatti il giorno dopo, nella manovra di avvicinamento al distributore ha cominciato a perdere colpi, per fortuna sono riuscito ad attraccare!
La luna nuova era solo uno spicchio ed era buio totale, siamo entrati nella baia lentamente a motore, facendo attenzione a non investire le numerose barche ancorate esternamente.
Le proposte sul da farsi una volta a terra erano numerose, chi voleva andare a comprare le sigarette, chi voleva provare a fare due passi e chi proponeva di cenare al ristorante, ma c’era quasi incredulità,per essere finalmente arrivati dopo tanti giorni di mare.
La curiosità di sapere dove eravamo, chi erano gli abitanti, che lingua si parlava, incuriosivano l’equipaggio che avrebbe desiderato sbarcare.
Avremmo dovuto gonfiare il gommone, mettere in moto il fuoribordo e scendere a terra, senza sapere se avremmo trovato qualcosa per cena, dato le abitudini del luogo, sapevo che i locali sarebbero stati già prossimi alla chiusura, quindi non avremmo cenato né a bordo, né a terra.
Erano le 20.30 di mercoledì 8 dicembre, ho subito messo in pentola la cena, abbiamo apparecchiato nel pozzetto e dopo 22 giorni abbiamo cenato fermi, senza rollare e con tutti a tavola, compresi la guardia ed il timoniere.
Pregustavo un sonno continuo, finalmente tranquillo senza lo stress della navigazione, dei colpi di vento oppure delle altre barche che negli ultimi giorni si sono incontrate nell’imbuto dell’arrivo, dato che tutte arrivano allo stesso punto.
La notte infatti è passata tranquilla ed il mattino seguente abbiamo fatte due colazioni: una in barca appena alzati e un’altra al bar con una “specie di cappuccino” e le famose brioches francesi.
Con l’arrivo ci si sente storditi, in preda quasi ad un’ubriacatura: la terra è ferma, il corpo non deve costantemente ricercare un equilibrio su di una superficie in continuo movimento, per riprendere il contatto con il suolo e riabituarsi alla propria realtà ed ai propri impegni serve tempo e pazienza…
Il nostro viaggio era finito, con il tempo avremmo ricordato maggiormente i momenti piacevoli di questa esperienza impegnativa che abbiamo vissuto intensamente, sull’Oceano e dentro di noi.


Omero Moretti
Martinica, mercoledì 8 dicembre 2010