Dai Carabi all’Europa: un rhum per ricordare (1992)

Alla fine, quando l’isola appare di prua, verdissima di vegetazione, un po’ nera di rocce vulcaniche, brillante come uno smeraldo screziato adagiato in un mare blu cupo, provi una grande malinconica soddisfazione. Anche questa volta stai arrivando. Anche questa volta l’isola è lì dove dovrebbe essere. Anche questa traversata oceanica è compiuta. Allora perché questo fondo di malinconia? Forse per gli amici di questo viaggio che adesso sbarcheranno? Perché senti che si chiude un periodo di vita delimitato fra due isole, quella di partenza, St. Martin, e quella di arrivo, Horta, fatto di un oceano di acqua?

Mah! Pensieri strani che girano nella testa degli arrivi senza problemi.

Alla partenza della traversata era diverso, lì erano pensieri “veri”, fatti di cose reali. Ero arrivato trafelato a St. Martin dalle Isole Vergini, di primo pomeriggio, appena in tempo per mettere in acqua il canotto e correre all’aeroporto a prendere Nando, un amico conosciuto in Grecia l’anno prima, che mi avrebbe dato un “colpo di mano” nei preparativi pre-partenza. Poi si sono succeduti giorni e giorni di lavoro duro: alaggio della barca per il controllo scrupoloso dell’opera viva, riparazione dello skeg danneggiato, pittura della carena, sostituzione di un genoa strappato ed accurata verifica di tutte le vele.
La pulizia delle sentine è un lavoro importante perché non si intasino i filtri delle pompe di esaurimento. Come è importante il controllo dei materiali di rispetto, il cambio dell’olio e dei filtri del motore, lo stivaggio della catena e dell’ancora a metà barca, per concentrare i pesi al centro, rendendo prua e poppa più leggere e adatte all’andatura di bolina. Poi è venuto il momento della cambusa. Prevedo sempre una traversata molto più lunga della media, ventidue giorni, che fanno settanta pasti. Così carico vivande abbondanti per le colazioni, che considero per metà giornata con frutta e verdura e, per la sera, sempre un pasto caldo, anche a costo di poggiare un po’ se andiamo con un’andatura di bolina. Per l’acqua da bere calcolo una bottiglia al giorno a testa e l’equipaggio sa che per lavarsi può usare quella dei serbatoi nella misura di un litro e mezzo al giorno a testa. Sulla mia barca non deve mancare un bicchiere di vino o la bottiglia di rhum, che, bevuto con moderazione, nelle umide e freddine notti della traversata, fa ricordare la magica atmosfera delle notti caraibiche. Considero indispensabile il cioccolato che dà energia anche quando cucinare è impossibile.Imbarco una quantità abbondante di farina che, impastata con lievito e acque e lasciata due ore a riposare un una teglia con olio e sale infilata in una busta di plastica, si trasforma poi in forno in un’ottima focaccia. Poi mi dedico alla radio, il nostro cordone ombelicale con il caro amico che sempre segue tutti noi “randagi degli oceani”. Un ringraziamento per la sua voce amica e per il senso di sicurezza che ci infonde. Verifico le antenne e le connessioni e preparo il registratore per memorizzare i bollettini meteorologici in inglese e francese, da tradurre poi con calma. Manca solo di’imbarcare gli altri cinque membri dell’equipaggio e fargli stivare a regola d’arte vestiti e cerate. Questo non perché lo skippper sia un maniaco dell’ordine, e chi mi conosce lo sa bene, ma perché a volte un attacco di mal di mare arriva cercando per ogni dove un indumento asciutto. Poi arrivano le solite, ovvie, raccomandazioni all’equipaggio sulla sicurezza, e non rimane altro che alare il canotto ben sgonfio in coperta, non si sa mai, e sperare che il vento giri un po’ verso Est. Ma poi, con un Nord-Est sui 15 nodi, non proprio l’ideale, siamo partiti ugualmente con un senso di sollievo: finalmente in mare, lontani da terra e da tutti i preparativi.
Solo oceano, onde, vento un po’ contrario un po’ buono, albe e tramonti, acqua che scorre lungo le fiancate. Cosa ricordo della traversata? La rabbia di aver strappato dopo tre giorni il genoa appena riparato, e poco altro. Una navigazione ora tranquilla ora un po’ meno, senza storia, fino a quando la linea continua dell’orizzonte davanti alla prua è stata interrotta da un verde smeraldo screziato di nero di nome Horta.
OMERO MORETTI
(pubblicato nel 1992)