Viaggiare lenti, non solo a vela
Viaggiare lenti è diventata un po’ una moda. Sembra quasi che per chi, sempre di più, ha la possibilità di muoversi velocemente da una parte all’altra del globo diventi sempre più importante godersi anche il viaggio e la lentezza. È spesso così, nelle cose della vita: si apprezza qualcosa quando non lo si ha più. E se per secoli la lentezza del viaggio, accompagnata da scomodità e spesso pericolo, era una condanna, oggi diventa un lusso. Il lusso di perdere tempo.
In barca a vela non c’è alternativa al viaggiare lenti (e infatti le barche a vela cercano di andare sempre più veloci…), e viaggiare su una barca è uno dei modi migliori per apprezzare il viaggio in sè: come quando si intraprende un viaggio a piedi o in bicicletta, la meta viene letteralmente conquistata, con fatica (a volte di più, a volte di meno), con tutto il tempo per vedere la terra apparire all’orizzonte e fantasticare di quello che vedremo ancora prima di arrivarci.
Un viaggio in barca a vela ha ancora in sè qualcosa di antico: anche se le barche oggi sono attrezzate, piene di elettronica, molto più comode e sicure, resta immutata, per chi ama il mare e il vento, la meraviglia del vedere la vela che si gonfia e lo scafo che fende l’acqua, in un equilibrio fragile con le forze della natura.
Una riflessione sul viaggiare lenti “in chiave moderna” tratta dal libro di Gaia de Pascale, Slow Travel:
“Per questo nei nostri movimenti dovremmo sostituire di tanto in tanto all’immagine della retta quella del cerchio, lasciare l’auto nel parcheggio dell’albergo e perlustrare i dintorni del luogo prescelto per il nostro girovagare piano piano, consumando il territorio a zone, gustandone gradatamente i dettagli. È questa la teoria dei cosiddetti “cerchi concentrici”, quella secondo la quale non è necessario spostarsi seguendo sempre una linea rigida come se le strade fossero frecce che indicano un’unica direzione uguale per tutti e i viaggiatori individui eternamente in fuga, animati dalla sola volontà di non voltarsi indietro, di lasciarsi ogni cosa alle spalle; piuttosto, gironzolare esplorando progressivamente zone sempre più ampie senza mai perdere di vista il centro, la fonte da cui tutto ha avuto origine, quella in cui tutto finirà. Fare in modo che ogni andata assomigli a un ritorno, fino a far diventare l’esperienza del viaggio qualcosa di veramente nostro, qualcosa da consumare lentamente, per gradi, in lenti processi di avvicinamento: questa è la conoscenza.”
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